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Nel momento in cui vi scrivo mi trovo a circa 5.000 chilometri di distanza, in un luogo che per molto tempo ha rappresentato per me una meta spaventosa e ambita allo stesso tempo, una presenza quasi immaginaria e constante che ha accompagnato la mia esistenza per oltre trent’anni di vita e verso la quale, un giorno di tre anni fa, ho deciso di lanciarmi.

La Costa d’Avorio è il luogo dove tutto ha avuto un nuovo inizio, dove le domande che mi inseguivano con insistenza fin dalla più giovane età hanno finalmente trovato risposta e dove il tortuoso percorso alla ricerca della mia identità ha raggiunto una delle tappe più importanti, pur essendo consapevole che questo viaggio introspettivo non sia ancora giunto al suo termine e forse, mai lo sarà.

Posso semplicisticamente suddividere la mia vita da figlia di coppia mista, nata e cresciuta in Italia con origini ivoriane, in una serie di fasi simboliche rispetto alla mia esperienza di vivere con un’identità multiculturale e multirazziale in un mondo che tende sempre più a porre limiti geografici e identitari all’interno dei quali rinchiuderci.

Fase n. 1: La confusione

Sin da bambina ho vissuto in un mondo principalmente bianco, in un quartiere borghese della Capitale, dove quasi tutti nel mio ambiente avevano sembianze nelle quali non mi riconoscevo e quasi nessuno riusciva a capire cosa volesse dire avere la percezione di sentirsi sempre l’unica ad essere diversa. In pochi si rendevano conto del fatto che frasi e gesti quotidiani, seppure in molti casi affettuosi, sottolineavano costantemente l’idea di non essere percepita come una di loro a tutti gli effetti. Mi sentivo veramente diversa e non avevo ancora gli strumenti necessari per comprendere cosa fosse quel senso di inadeguatezza rispetto al mondo esterno e per fronteggiare quella solitudine interiore che derivava dalla mancanza di confronto con qualcuno che viveva la mia stessa condizione.

Fase 2:  Il rifiuto

Durante la pre-adolescenza avrei voluto poter cancellare la mia diversità, poiché non accettavo il fatto che potesse essere un elemento costante nel mio rapporto con gli altri e desideravo intensamente passare inosservata per confondermi tra la folla. Ho iniziato quindi a concentrarmi sulla mia italianità, seguendo un percorso di assimilazione che mi spinse ad allontanare ogni legame con le mie origini africane e mi trasformò in quello che potrei definire ora un alter ego italiano di me stessa, in grado di rappresentare ciò che gli altri avrebbero voluto che fossi.

Fase 3: La presa di coscienza

Verso i diciotto anni, ho iniziato a viaggiare molto e a conoscere nuovi luoghi e nuove culture, ritrovandomi a scoprire man mano qualcosa in più sugli altri, ma soprattutto su me stessa. Con il tempo e la conoscenza ho imparato a sentirmi una cittadina del mondo e a rendermi conto che la mia italianità cominciava a starmi troppo stretta. Essa non riusciva, da sola, a definire quello che ero, a soddisfare la complessità delle mie esperienze, a ricostruire un vissuto multiculturale e plurilinguistico, a raccontare la mia storia in bilico tra due paesi lontani e il mio desiderio di vivere il mondo nella sua complessità. È a questo punto che emersero le infinite sfaccettature delle quali era composta la mia identità e sentii il bisogno di liberarmi dai condizionamenti esterni per intraprendere un viaggio verso l’autodeterminazione.

Fase 4: La ricerca

A circa vent’anni ho avuto una rivelazione scoprendo il movimento intellettuale della negritude. Questo è stato un bivio importantissimo che mi ha portato a una riscoperta dell’Africa e delle sue culture, a una rivalorizzazione della mia nerezza e a un crescente interesse verso le mie radici. Per molti anni non ho avuto il coraggio di recarmi in Costa d’Avorio perché la curiosità di scoprire il mio paese, e con lui la mia storia, conviveva con il timore di scoperchiare un’immensità di dubbi e insicurezze su me stessa. Mi chiedevo spesso se fossi veramente pronta ad accettare questa sfida, se sarei stata in grado di affrontare le emozioni di un ritorno alle radici, se le mie aspettative di una vita sarebbero state soddisfatte oppure tradite dalla realtà, se sarei riuscita a rincollare i pezzi e rimodellarmi su nuove basi, ancora più ricche e complesse rispetto al passato. Finché un giorno, dopo lunghe riflessioni e il ritorno di mio padre nel paese natio, presi la decisione di andare.

Fase 5: Il ritorno alle origini

Tre anni fa presi un aereo in direzione di Abidjan con un macigno nel cuore, ciò che avevo desiderato per così tanto tempo stava per realizzarsi, ma quale sarebbe stata la contropartita? Allora non sapevo rispondere a questa domanda, quindi mi buttai come in un lancio nel vuoto e fu come se il forte desiderio di completezza vincesse la grande paura di intraprendere questo grande salto verso l’ignoto.

Fase 6: La consapevolezza

Ed eccomi qui oggi, serenamente in equilibrio con le mie molteplici identità, ad un punto della mia vita in cui nessuna di esse prevarica l’altra, ma anzi coesistono le une con le altre. Non sono più la nera come mi intravedevo un tempo attraverso gli sguardi degli altri in Italia, né la bianca come alcuni vorrebbero stigmatizzarmi qui in Costa d’Avorio, sono sia l’una sia l’altra. Non accetto più di sottopormi a misurini di appartenenza culturale, non devo dimostrare più a nessuno di meritarmi la medaglia dell’italianità o dell’ivorianità, né sono alla ricerca dell’approvazione altrui.

Rappresento quella terza dimensione che la maggior parte delle persone, sia qui che lì, continua a tentare invano di intrappolare in sterili categozizzazioni attraverso presupposti fuorvianti basati sull’esclusione o sulla prevaricazione di un’identità rispetto all’altra. La mia identità è inclusiva, fluida e mutevole, abbraccia tutte le sfumature del mio io e, che lo vogliate o no, mi farà sentire a casa da una parte e dell’altra di questo emisfero.

Ritengo che il percorso fatto sia importante tanto quanto la meta raggiunta, poiché è fondamentale capire le difficoltà personali, oltre che sociali, e analizzare i conflitti interiori ai quali possono essere confrontati i giovani in possesso di un bagaglio multiculturale e multirazziale in Italia, al fine di accompagnarli e sostenerli nel raggiungimento di un equilibrio personale che consenta loro di capire con consapevolezza ciò che sono o vorrebbero diventare, senza che siano altri a stabilire entro quali limiti individuali e culturali debbano muoversi.

Il mio blog nasce nel 2013 proprio in linea con questa visione, nella speranza che le mie esperienze e il mio percorso potessero essere utili, da un lato, a chi si ritrovava a vivere sulla propria pelle le medesime esperienze, magari avendo la percezione di sentirsi meno solo, dall’altro, per dare visibilità al nostro vissuto di italiani afrodiscendenti facendo sentire la nostra voce che, come dimostra anche la guerra ideologica contro la modifica della legge sulla cittadinanza, sembra ancora afona nella società italiana.

E mentre in Italia, il razzismo istituzionale e sociale a cui stiamo assistendo negli ultimi anni porta avanti idee che delegittimano la nostra presenza in questo paese e sminuiscono la nostra appartenenza al suo bagaglio culturale, escludendo quindi la possibilità di possedere identità multiple come la mia poiché le nostre origini straniere sembrerebbero in contrasto con la nostra italianità; in Costa d’Avorio il nostro background multiculturale è percepito come una ricchezza utile ma anche invidiabile e noi, figli della diaspora, incarniamo il simbolo di quel bramato successo a cui aspirano molti giovani che ogni giorno s’imbarcano alla ricerca di un futuro migliore.

In entrambi i casi credo ci sia ancora molto lavoro da fare poiché non mi riconoscerò mai in rappresentazioni che tentano di dipingermi come marginale, né tantomeno come supereroe; mi ritrovo quindi a battermi attualmente su due fronti: quello italiano e quello ivoriano.

Nel primo caso, riesco a muovermi grazie ad internet e ai social network, i quali mi consentono di diffondere e condividere le mie riflessioni su tali tematiche, anche proponendo una nuova immagine positiva dell’Africa, nella speranza che gli afrodiscendenti, e non solo, capiscano l’importanza di riappropriarsi singolarmente delle proprie identità e siano collettivamente in grado di mostrare, con l’esempio concreto delle loro esperienze, il valore aggiunto che possono indubbiamente offrire a questo paese.

Nel secondo caso, mi muovo nella vita reale, cercando di utilizzare gli immensi privilegi che il mio passaporto italiano e la mia vita europea mi hanno offerto, come viaggiare, confrontarmi e scoprire, per raccontare il lato oscuro della migrazione cercando di ridimensionare l’immagine onirica dell’Europa, sostenendo l’importanza di individuare soluzioni alternative in loco e valorizzando il ruolo che noi giovani africani e della diaspora possiamo avere nel contribuire al cambiamento necessario del nostro continente.

In un caso e nell’altro, credo fermamente che saremo noi, giovani a cavallo tra mondi diversi, a trainare la trasformazione culturale e sociale necessaria ad abbattere le barriere fisiche ed ideologiche che non ci consentono ancora di apprezzare la ricchezza infinita e magnifica della diversità.

*Intervento scritto in occasione dell’evento “Sprigionando pensieri: dibattito su cultura, identità, migrazioni e antirazzismo” organizzato dal Comitato Ottobre Africano – Bologna (26-28 ottobre 2017).