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Tempo fa ho letto un interessante articolo sulla rivista online NOFI intitolato “Black lives matter, really?” (Le vite dei neri contano, davvero?) in cui l’autrice metteva in evidenza l’ipocrisia delle comunità nere occidentali che si mobilitano per la difesa dei loro diritti in casa, ma dimenticano le violenze e le ingiustizie subite da altri neri altrove.

Una sorta di immobilismo che determina due categorie di esistenze: le vite che contano e quelle per le quali neanche i propri fratelli muovono un dito.

blm2Penso ad esempio al Brasile, dove i soprusi e gli omicidi dei neri da parte delle forze dell’ordine sono forse persino più frequenti che negli Stati Uniti; alla Mauritania e ai paesi del Golfo, dove molti neri vivono in uno stato di vera e propria schiavitù da parte dei padroni arabi protetti e coperti dai rispettivi governi; ai Caraibi e ad alcuni paesi africani, dove il turismo sessuale, anche minorile, attira tantissimi occidentali che sfruttano il disagio sociale ed economico locale per soddisfare i propri desideri perversi.

Non sono vite di neri pure quelle?

Certo, ci sono persone che ne parlano e che si battono anche per loro, ma si tratta di lotte settoriali condotte solo da chi è direttamente interessato o colpito da tali sopraffazioni. Ma dove sono tutte le celebrità, tutti gli attivisti e i sostenitori del movimento BLM?

Sembrerebbe quasi che l’odio e le violenze razziali siano una questione regionale, ce ne interessiamo solo quando riguardano il nostro territorio e la nostra quotidianità. Ovviamente, noi europei siamo vicini ai nostri fratelli afroamericani perché, ammettiamolo, sono la nostra fonte d’ispirazione e in loro ci riconosciamo, ma noi, come loro, non abbiamo nulla a che vedere con gli afrobrasiliani o i neri d’Africa, a parte un punto comune evidentemente trascurabile: le stesse radici.

Non siamo forse colpevoli dello stesso immobilismo che critichiamo negli altri?

schiavi

Il video girato in Libia, e recentemente trasmesso dalla CNN, nel quale si vedono giovani uomini africani venduti all’asta al migliore offerente, oltre a riportare alla mente immagini agghiaccianti che rievocano un lontano (ma neanche troppo) passato di schiavitù e umiliazioni, lascia emergere il totale silenzio delle comunità nere in giro per il mondo. Dove sono i super organizzati afroamericani del movimento BLM? E la montante scena degli afroeuropei ? Ma soprattutto, dove sono gli africani del continente e della diaspora?

Da qui emergono due riflessioni:

  1. Non solo che esistono discriminazioni di serie A (nei confronti ad esempio degli ebrei) per le quali tutti si indignano e protestano a prescindere; di serie B (nei confronti delle donne o dei disabili) per le quali ci si indigna, ma che poi in fondo quasi tutti trovano una scusa per giustificare i comportamenti dei carnefici e di serie C (nei confronti dei neri, dei rom, delle comunità LGBT e di altre minoranze), per le quali si ha tendenza a non reagire e a sminuirne il peso, attribuendo anche una forma di vittimismo a chi le subisce; ma che tra queste ultime sussistano persino sottogruppi del tipo serie C2, C3 e via dicendo come nel caso delle donne nere (razzismo + sessismo), dei disabili neri (razzismo + abilismo) o dei neri africani (razzismo + afrofobia).
  2. Quando ci criticano perché ritiriamo sempre fuori la storia della tratta, dello schiavismo e della colonizzazione (come se tra l’altro fossero avvenimenti che in qualche modo possano essere rimossi da parte di una comunità o di un continente), emerge tutta l’ipocrisia e la superficilità con cui gli occidentali considerano questi tragici eventi, ma anche la potenza con la quale il pensiero dominante agisce sulle masse, che non si sconvolgevano a quei tempi e continuano a non sconvolgersi oggi, nonostante tra di loro ci siano milioni di discendenti diretti di quelle vittime del passato. Sono stati talmente abili a demonizzare l’immagine dell’Africa e degli africani che persino i loro fratelli neri preferiscono prendere le distanze. Credo questa sia la vittoria più eclatante dell’oppressore sulle proprie vittime, come fosse in atto una sindrome di Stoccolma che affligge contemporaneamente milioni di neri in giro per il mondo.

Mi piacerebbe vedere intere folle di africani e afrodiscendenti invadere le strade delle loro città per dire basta allo sfruttamento e alle violenze subiti dai propri fratelli ovunque su questo pianeta, ma siamo ancora molto indietro rispetto alla ridefinizione di percorsi storici e culturali collettivi che consentano a tutti noi di riconoscerci con orgoglio quali figli di una stessa terra madre, l’Africa.