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elezioniFino ad un mese fa pensavo di avere un’idea abbastanza precisa di cosa fosse la democrazia, nel senso che credevo di poter attribuire un significato più o meno chiaro a questa espressione, nonostante dal mio punto di vista si trattasse di un concetto abbastanza astratto.

Poi qualcuno mi ha fatto notare che in Africa termini come libertà e democrazia non hanno lo stesso valore che avrebbero in Europa. In effetti, essendo una linguista di formazione, ho sempre saputo che un termine può cambiare di significato in base al contesto in cui viene utilizzato, soprattutto se si tratta di un termine appartenente ad una lingua straniera imposta da una cultura dominante a una cultura assoggettata. Tuttavia, non avevo mai compreso fino a che punto questa teoria potesse avere delle ripercussioni concrete sulla vita reale e il destino delle persone.

Mi spiego meglio, il concetto di democrazia in un paese indipendente da soli 55 anni, dopo secoli di colonizzazione, in un contesto in cui le forme tradizionali di governo – guidate dai capi villaggio e da un sistema di alleanze etniche – restano profondamente radicati nella vita sociale, avrà difficilmente la stessa valenza che altrove.

Quindi, mentre in Italia si parla fino alla nausea della legge di stabilità, delle unioni civili, delle cene pagate dai politici con i soldi dei contribuenti, delle inchieste giudiziarie su Roma Capitale e sugli appalti per le grandi opere e il Giubileo; in Costa d’Avorio mi ritrovo per la prima volta nel pieno di un’elezione presidenziale in cui il Presidente uscente, non eleggibile secondo la Costituzione, è magicamente in corsa addirittura per un secondo mandato.

Si tratta della prima elezione dopo la guerra civile del 2010, quindi, com’è immaginabile, il clima è molto particolare: momenti di strana calma si alternano a voci di corridoio e sentimenti di inquietudine per il timore che possa ripetersi la catastrofe che ha segnato la vita degli ivoriani negli ultimi anni.

Il 9 ottobre è iniziata la campagna elettorale e una serie di cose, per me inimmaginabili, si sono susseguite. Ero abituata a campagne elettorali caratterizzate da un certo livello di pluralismo, da una quantità incalcolabile di partiti, da rigide regole di par condicio televisiva e bombardamenti mediatici di tutti gli schieramenti, fino quasi a percepire una sensazione di saturazione politica. Chiacchierate tra amici, scambi di opinioni e aperte dichiarazioni di voto erano la norma.

Qui, nessun vero programma politico, tante promesse e non azzardarti a parlare di politica in pubblico, potrebbe ritorcersi contro di te in futuro. Una campagna elettorale monopolizzata da un unico candidato: la sua faccia che appare su ogni cartellone pubblicitario, sulle facciate dei palazzi, per le strade, sulle migliaia di magliette offerte ai potenziali elettori e il suo nome scritto ovunque, persino sulle etichette della Coca Cola che invita a “condividere con LUI una bottiglia”. Ti senti piccolo, osservato, impotente, mentre quelle sagome giganti ti guardano da ogni angolo della città, trasmettendo una sensazione di potenza, dominio e controllo. Nel frattempo, per le strade e soprattutto la sera, militari in divisa controllano indiscriminatamente i documenti dei passanti, come se chiunque potesse rappresentare un potenziale pericolo per la quiete elettorale, quindi, si gira solamente in auto.

La campagna consiste sostanzialmente nel viaggiare all’interno del paese con l’obiettivo di guadagnarsi l’appoggio dei capi villaggio delle varie etnie offrendo soldi, magliette e promesse alle comunità per ottenere così il loro sostegno; perché qui non si vota il partito, ma il gruppo etnico che il candidato di partito rappresenta, poiché in un sistema estremamente corrotto, gli unici che presumibilmente potrebbero farsi carico delle esigenze delle varie comunità sono coloro che da quella stessa comunità provengono. Una sorta di clientelismo all’ivoriana, dove “Cetto La Qualunque” diventa “Koffi Le N’importequoi”, mentre noi che ci stupivamo delle cene offerte ai vecchietti in cambio di voti sembriamo dei pivelli!

Riassumendo: si erano candidati in 32, il Consiglio Costituzionale ne ha dichiarati eleggibili solo 10, 2 si sono ritirati a una settimana dalle votazioni, 1 si è ritirato ieri, ossia il giorno prima del voto, e i 6 che sono rimasti, oltre all’attuale Presidente, sono persone che nessuno voterebbe mai.

Conclusione: un bassissimo tasso di partecipazione, dimostrato dal fatto che in pochissimi hanno ritirato la propria tessera elettorale.

Non avrei mai pensato di assistere ad elezioni libere e democratiche in cui osservatori delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, delle Rappresentanze diplomatiche sono dispiegati nelle sedi di voto e in cui vengono stilate delle liste elettorali biometriche con riconoscimento dei votanti tramite impronte digitali per evitare brogli elettorali (o per controllare in maniera capillare chi vota?).

In questo clima, quindi, cosa rappresenta un voto?

Se per me è sempre stato un diritto e un dovere, al quale non ho mai rinunciato, in queste condizioni esso assume un valore diverso. Voti sapendo già chi vincerà, voti sapendo che la tua voce è silenziosa, voti con il timore di ciò che potrebbe accadere se i risultati non dovessero corrispondere alle aspettative, voti per convenienza e non per convinzione, voti perché così sapranno che hai votato, o piuttosto non voti, perché il tuo destino è già segnato.

Ecco la versione africana di democrazia, in cui il popolo vive consapevolmente in uno stato di libertà apparente: vivi in serenità, ma non decidi nulla. E poi penso a noi… La nostra libertà ha un sapore diverso, al quale siamo troppo spesso assuefatti, tanto da dimenticarci talvolta persino di averla, fino quasi a rinunciare ai nostri diritti per pigrizia o rassegnazione. Per questo invito tutti voi a votare alle prossime elezioni, partecipare alla prossima manifestazione, protestare ogni giorno contro le ingiustizie, perché solo quando tutto questo non sarà possibile, vi renderete conto delle infinite occasioni che avrete sprecato per poter esprimere apertamente la vostra opinione e contribuire, anche solo con un’idea, a cambiare ciò che ritenete sbagliato.

Oggi si resta a casa, si attendono i risultati e che vinca chi deve vincere!