In occasione della giornata mondiale contro le discriminazioni razziali e prendendo spunto dall’ultimo rapporto dell’ENAR (Rete europea contro il razzismo) sulle discriminazioni nel mondo del lavoro in Europa, vorrei condividere con voi alcune considerazioni sull’argomento.
Il rapporto ENAR evidenzia le discriminazioni legate all’occupazione basandosi sulle informazioni ricevute da 23 paesi europei e la situazione che ne emerge sembra indicare un unico punto comune in Europa: si discrimina ovunque.
Sono cinque i gruppi che subiscono maggiormente le conseguenze di tali vessazioni: rom, mussulmani, immigrati di paesi extracomunitari, donne migranti o appartenenti a minoranze etniche, neri europei o di origine africana.
In Italia la maggiore discriminazione riguarda i rom e i sinti, il cui tasso di sottoccupazione è stimato dalla Croce Rossa al 72%. Gli immigrati rappresentano il 34% dei lavoratori impiegati nei cosiddetti lavori “sporchi”, usuranti e pericolosi e sono spesso sotto-impiegati rispetto ai loro livelli di qualifica e istruzione. Hanno minori opportunità di mobilità orizzontale e verticale e i loro salari sono inferiori (per lavori analoghi, gli uomini sono pagati in media il 20% e le donne il 30% in meno rispetto agli italiani).
Infine, le leggi in vigore che vincolano il permesso di soggiorno al datore di lavoro, creano una dipendenza del cittadino straniero che può essere maggiormente soggetto a minacce, intimidazioni e sfruttamento.
Riflettendo su tali dinamiche mi sono tornati alla mente episodi personali e testimonianze di amici che, pur non rientrando tra i casi di esclusione occupazionale, dimostrano un approccio discriminatorio o preconcetto anche nei confronti dei giovani afroitaliani che potrebbe essere riconducibile a 5 macro questioni:
1. Questione di nazionalità. Al momento della firma di un contratto, se non hai la cittadinanza ti trattano come un immigrato e se ce l’hai, nonostante le informazioni sul cv e la copia della carta d’identità precedentemente inviate non lascino adito ad alcun fraintendimento, ti viene chiesto di portare comunque il permesso di soggiorno. “Ma sono cittadina italiana”, “Vabbé, se però hai altri documenti che ti servono per lavorare in Italia portali”. E penso che, se lavori tu, forse mi faccio fare il certificato in copia autenticata di demenza cronica per adeguarmi ai tuoi standard professionali…Fascicolo completo!
2. Questione di nome. Se hai un cognome straniero e apparentemente impronunciabile, oltre ad essere costantemente storpiato, come accadeva alle elementari, esso rischia di scomparire tramutandoti in “la Dott.ssa/il Dott. + nome proprio”. Questo autorizza l’interlocutore a porti domande personali che, in un contesto lavorativo, potrebbero risultare alquanto inopportune. I clienti vogliono sapere da dove vieni, dove sei nata, da quanto tempo sei in Italia, se ti trovi bene, se è bello il paese di origine e, se poco poco conoscono un tuo connazionale (associandoti a chiunque provenga dal continente africano) vogliono sapere se lo conosci pure tu. Chiamiamo pure lo psicanalista per un consulto veloce?
I datori di lavoro, se non ti hanno già discriminato in fase di selezione, testano la tua italianità per capire se sarai in grado di non far sfigurare il gran nome dell’azienda con comportamenti e pratiche culturalmente inaccettabili. Ma se vanno bene la raccomandazione, lo sfruttamento, la precarietà, il lavoro nero o l’evasione, cosa potrei fare di sconvolgente per ledere la vostra immagine? I grandi misteri italiani!
3. Questione di titoli. Puoi essere ingegnere, traduttore, manager, avvocato, medico o un professionista di qualsiasi settore, ma se non sei già stato discriminato nella ricerca del lavoro e sei riuscito a trovare un impiego adeguato alle tue competenze, nel faccia a faccia diventi semplicemente “tu”. Non siamo amici, non siamo parenti, non ci siamo neanche mai visti e “Lei” mi da’ del “tu”? La tua professionalità e il rispetto implicito nel “Lei” si perdono in un’immagine sminuita che a volte comporta anche la pretesa di una tariffa inferiore rispetto ai colleghi, perché mica penserai di meritarti un equo compenso?
Se poi sei donna e giovane, lascia stare, si configura una lunga lista di apprezzamenti e atteggiamenti sessisti che fanno crollare la tua immagine professionale al livello dell’accompagnatrice esotica, posizione nella quale, dati i tempi e le usanze che corrono, potresti guadagnare sicuramente maggior fama e denaro.
4. Questione di colore. Entrare in una stanza ed essere l’unico a non meritare un cordiale saluto, essere sostituito con un altro collega (bianco ovviamente) su richiesta del cliente, sentirsi dire di mantenere un basso profilo perché “il cliente X è un tipo un po’ strano” (ossia razzista), vedersi negare mansioni a contatto con il pubblico perché “la gente magari si sente a disagio” (sarà la paura infantile dell’uomo nero?) e così via…ma non sarà che sono io a dovervi snobbare perché non raggiungete neanche lontanamente un livello culturalmente ed intellettualmente accettabile? Nell’indecisione, cambio lavoro!
5. Questione di lingua. Fino allo svelamento del nome o della propria immagine il problema non si pone, ma al momento del confronto, lo stupore si manifesta con l’intramontabile esclamazione: “ma come parli bene l’italiano!”. Non importa che tu dica di essere nato in Italia, di averci studiato e preso pure una laurea, continueranno a considerarti come un bravo straniero che ha imparato bene la loro lingua. A quel punto, proverai una sadica soddisfazione nel correggere senza pietà il suo uso sistematicamente scorretto del congiuntivo!
Spesso le aspettative si scontrano con la realtà e nel nostro caso questo implica che anche nel mondo del lavoro ci sarà spesso richiesto uno sforzo maggiore rispetto ai coetanei per dimostrare qualcosa che vorremmo fosse implicito: quanto siamo italiani, quanto siamo competenti rispetto agli altri, quanto siamo integrati, quanto siamo adeguati, ma non demoralizzatevi, perché più sono grandi le sfide tanto maggiore sarà la soddisfazione nel superarle 😉
Buona fortuna a chi cerca, a chi cambia, a chi resta e…never give up!
P.S. Giusto per avere un’idea sui dati contenuti all’interno del rapporto ENAR:
Disoccupazione
– In Belgio e in Finlandia, il tasso di disoccupazione è tre volte superiore per le persone nate in paesi extraeuropei
– In Spagna, il tasso di disoccupazione è di due volte maggiore per i migranti africani rispetto alla maggioranza della popolazione
– In Olanda, il tasso di disoccupazione dei marocchini è il più elevato
– In 11 Stati Membri della UE, 1 rom su 3 è disoccupato.
Ricerca occupazionale
– In Ungheria, il 64% dei migranti intervistati riferisce di essere stato discriminato
– In Germania, gli immigrati con medesime qualifiche e livelli di istruzione hanno minori opportunità di trovare lavoro rispetto ai tedeschi
– In Gran Bretagna, le persone con un nome straniero hanno tre volte in meno la possibilità di essere selezionate rispetto a persone con nomi britannici
– In Francia, la discriminazione riguarda coloro che vivono in zone socialmente svantaggiate
– In Olanda, il 57% delle agenzie per il lavoro si conformano alla richiesta di non prendere in considerazione candidature di cittadini marocchini, turchi e del Suriname
– In Spagna, le ragazze mussulmane sono discriminate perché si rifiutano di togliere il velo.
Discriminazioni sul luogo di lavoro
– In Ungheria, lo stipendio dei rom è inferiore al salario minimo ungherese
– In Austria, le persone di origine turca guadagnano il 20% in meno rispetto ai colleghi austriaci
– In Repubblica Ceca, alcuni intervistati hanno dichiarato di non aver ricevuto una promozione per la seguente motivazione: “non è ancora il momento di affidare un ruolo dirigenziale a una persona nera”
– In Polonia, uno studio ha dimostrato che in molti casi i lavoratori migranti sono costretti a fare straordinari dietro minaccia di licenziamento.