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#prendiamolaparola, afro influencer, afrodiscendenti, neri italiani, normalizzazzione della diversità, professionisti afro, rappresentatività multietnica
Spesso si parla della mancanza di rappresentatività degli afrodiscendenti all’interno della società italiana ed è un problema reale, profondo e generalizzato a tutti i contesti culturali, sociali e professionali nel paese. In quanto neri/misti, però, dimentichiamo talvolta che, se da un lato, è importante rivendicare il fatto che ci venga dato spazio in tutti gli ambiti che non tengono assolutamente conto della “diversità”, dall’altro, siamo anche noi stessi a doverli creare, pure sgomitando, questi spazi.
Ci chiediamo ormai da anni il perché, quando si tratti di scendere in piazza o di mostrarsi uniti in iniziative collettive, la presenza e la partecipazione di molti di noi sia sempre limitatissima. Le ragioni sono sicuramente molte e variegate, tuttavia, credo che un elemento da non sottovalutare sia la scarsa immedesimazione delle persone.
I giovani afrodiscendenti, come tutti i loro coetanei, non sono molto interessati alla politica o all’attivismo e ne è invece coinvolta solo una minima parte. Io stessa, non mi considero un’attivista, ma una persona normale che ama scrivere e condividere le proprie riflessioni in questo blog, che ha fatto scelte di vita un po’ controtendenza decidendo di ritornare nel paese di origine, ma che cerca di dare il proprio apporto quotidiano al cambiamento nella normalità di una vita come tante altre.
Quella vita reale in cui siamo per lo più impiegati, architetti, manovali, cuochi, postini, insegnanti, imprenditori, rider, medici, camionisti, giornalisti, magazzinieri, babysitter, studenti, traduttori e tanto altro ancora. Persone normali insomma, con talenti specifici o lavoratori qualsiasi, con carriere in evoluzione o situazioni professionali precarie, con obiettivi da raggiungere o semplicemente alla ricerca di un equilibrio personale come chiunque in questo mondo.
Credo che il nostro obiettivo comune sia quello di ottenere una rappresentatività a tutto tondo che possa garantire spazi di manovra e di espressione a tutte queste individualità, non solo nel mondo dello spettacolo o della comunicazione. Dovremmo sensibilizzare i nostri fratelli e sorelle ad essere protagonisti e ad agire in qualsiasi contesto essi operino, a battersi per diventare ciò che desiderano senza lasciarsi schiacciare dalle pressioni esterne che li vorrebbero tutti in professioni o ruoli stereotipati.
#prendiamolaparola a prescindere dai follower e dalla visibilità, dall’eccezionalità delle nostre esperienze e dall’eccentricità della nostra immagine. Il messaggio che spesso arriva è che per esser accettati e accettabili dobbiamo dimostrare di essere straordinari, ma in realtà niente e nessuno ci obbliga ad esserlo. È nella nostra semplicità che possiamo tutti contribuire a questa battaglia: negli uffici, nelle scuole, nei centri commerciali, nelle aziende, nelle istituzioni, negli ospedali, ovunque!
Sono certamente convinta che sia importante avere modelli positivi e vincenti che possano essere d’ispirazione per le nuove generazioni, ma cerchiamo di non offuscare questa normalità nel tentativo di (di)mostrare un’afroitalianità troppo glamour ed elitaria.
Vi lascio con alcune domande che mi pongo già da un po’ e alle quali non ho ancora trovato risposta. Voi cosa ne pensate? Sono dinamiche che avete notato o sulle quali vi è capitato di riflettere?
- Il vicino Luigi o la collega Fatou possono veramente riconoscersi ed immedesimarsi nel mondo e nella pelle di Carla l’influencer o Salim il re delle piazze?
- Non rischiamo di creare una schiera di ammiratori invece che una generazione di protagonisti e aumentare un sentimento di frustrazione e inadeguatezza in coloro che già si sentono invisibili, ma che anche noi lasciamo comunque fuori dal dibattito?
- Siamo sicuri che non stiamo costruendo un’élite di aspiranti politici e intellettuali afrodiscendenti lontani dalle persone comuni a cui si vorrebbe dar voce?
- Che la quasi totale assenza di afrodiscendenti a dibattiti, conferenze, eventi, presentazioni che in teoria parlano di loro (e che piacciono tanto a chi detiene il privilegio bianco) non sia la conseguenza diretta di questa “distanza”?
- Ha senso parlare per tecnicismi quando si tratta di riforma della cittadinanza o proporre testimonial da mettere su un piedistallo per stimolare l’interesse e la mobilitazione dei tanti giovani direttamente coinvolti, ma scarsamente implicati?
- Quali potrebbero essere le strategie, anche comunicative, per superare questo divario se realmente esiste?
A voi i commenti!