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Quando penso all’Italia mi appare l’immagine di un vecchio seduto da solo su una panchina al parco, irritato e scontento, mentre attorno a lui tutto sembra muoversi quasi a rilento. Borbotta infastidito mentre guarda la coppietta scambiarsi effusioni sulla panchina accanto; storce il naso quando due ragazzi passano davanti a lui facendo footing e alzando un po’ di polvere; fa un sussulto di spavento sentendo un cane che abbaia per richiamare il suo padrone; fino a che il suo animo scorbutico prende il sopravvento e, rivolgendosi a dei ragazzini che giocano rumorosamente a calcio sul prato, grida: “Piccole pesti, non vi hanno insegnato l’educazione? Fatela finita con tutto questo baccano! Siamo in un luogo pubblico, mica a casa vostra!”.
Una frustrazione covata nella solitudine, in un brontolio quasi silenzioso, che consuma da dentro e dura giusto il tempo di un bacio, di una corsa e di una scodinzolata; un tempo che, alla sua età, sembra essenziale e fin troppo lungo, se proporzionato a quello che ancora gli resta. La frustrazione si tramuta poi in gelosia nei confronti di quella vita gustosa che altri assaporano sotto ai suoi occhi riempiti di ricordi: la dolcezza dei giorni felici in cui i teneri gesti della sua defunta amata gli scaldavano il cuore; il vigore che percepiva in ogni muscolo teso dallo sforzo quando sfrecciava in bicicletta per il quartiere; il senso di potere che provava mentre guidava il suo mastino lungo le battute di caccia.
Quella gelosia diviene infine rancore e straborda nel rimprovero alla giovinezza rumorosa che celebra l’inesorabilità del tempo che passa. Gli altri diventano i capri espiatori della sua inadeguatezza, dell’incapacità di raggiungere quella pace d’animo che conduce alla saggezza, all’appagamento serafico di un’esistenza completa e compiuta. Continua a leggere