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Visto che in questi giorni mi stanno scrivendo diverse persone, che ringrazio tra l’altro del pensiero, per sapere com’è la situazione da queste parti, ne approfitto per fare un punto della situazione.

Qui in Costa d’Avorio siamo attualmente a 480 casi, 52 guariti e 3 decessi e, nonostante il numero ancora contenuto dei contagi, il Governo ha deciso, come quelli di altri paesi limitrofi, di prendere comunque misure preventive abbastanza forti: chiusura di tutte le frontiere (aeree, marittime e terrestri); isolamento della città di Abidjan che presenta oltre il 90% dei contagi; chiusura di scuole, luoghi di culto e altri luoghi pubblici (ristoranti, bar,maquis, palestre, etc); telelavoro per le amministrazioni pubbliche e le grandi aziende; coprifuoco su tutto il paese dalle 21 alle 5; misure sanitarie obbligatorie (dispositivi per il lavaggio delle mani, mascherine e riduzione del numero degli utenti) sui mezzi pubblici, i taxi e i trasporti in comune (gbaka e woro woro) e lo stesso vale per mercati, supermercati e tutte le attività ancora in funzione e ritenute essenziali. L’obbligo di mascherina è obbligatorio in tutta Abidjan e le persone anziane e con malattie croniche non possono uscire di casa. Mancano sicuramente alcune misure più dettagliate, ma queste mi sembrano le essenziali.

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Data l’organizzazione sociale ed economica del paese, basata principalmente su attività e commerci informali della popolazione, e l’assenza di forme consolidate ed efficaci di welfare, si cerca di evitare una chiusura generalizzata delle attività e una limitazione totale degli spostamenti delle persone, per consentire a tutti di poter continuare a vivere e guadagnare il necessario affinché tutti i nuclei familiari abbiano di cui andare avanti in questi tempi di crisi, chiedendo comunque a tutta la popolazione di uscire e muoversi il meno possibile.

La preoccupazione principale riguarda l’aspetto sanitario e la capacità del sistema locale di individuare i potenziali contagiati e farsi carico delle cure mediche delle persone infette, soprattutto i casi gravi.

Ciononostante, si sta ampliando rapidamente la disponibilità di posti letto e di strutture adeguate ad accogliere i casi critici necessitanti di cure intensive (approvvigionamento in materiali e apparecchiature per gli ospedali pubblici, costruzione e riconversione di grandi locali pubblici per aumentare i posti di degenza e realizzazione di grandi strutture prefabbricate per la sensibilizzazione e la diagnosi).

Il Governo, nonostante, soprattutto all’inizio, abbia dato l’impressione di non percepire la gravità della situazione, reagendo in maniera un po’ rallentata alle richieste di sollecitudine di parte della società civile e non mostrando una linea chiara e coerente nel suo operato, ha alla fine preso le misure di cui sopra e messo in campo un fondo di solidarietà per affrontare la crisi, senza contare i doni economici e in natura di personalità pubbliche, governi stranieri e organizzazioni internazionali.

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Igienizzazione della città di Abidjan

Tutto questo dimostra in fondo che si stia cercando di agire in un’ottica di prevenzione, piuttosto che di frenetica urgenza, come avvenuto invece al di fuori del Continente perché, evidentemente, al contrario di quel che si ha tendenza a pensare e a sottolineare nei dibattiti internazionali, i governanti africani e i loro cittadini sono ben consapevoli dei limiti strutturali e logistici dei rispettivi paesi e, nonostante una situazione numerica attualmente ancora sotto controllo, puntano al contenimento estremo dell’evoluzione pandemica nei contesti locali come soluzione prioritaria.

È chiaro che le reazioni emotive di ognuno di noi, alimentate dal timore per la salute propria e dei propri cari, soprattutto nei villaggi, contribuiscono come ovunque a generare una certa agitazione, ancor più per chi, come me, si trova ad assistere a oltre 5.000 km di distanza a tutto ciò che accade in Italia, dove molti sono gli affetti e i familiari.

Tuttavia, dopo aver letto e sentito grida di allarme spropositati e pronostici devastanti su come l’Africa sarà in grado di gestire questa crisi, ritengo importante fare chiarezza su alcuni punti importanti.

Sebbene sia evidente che il sovraffollamento notorio dei luoghi esterni e delle case in città come Abidjan, nonché le difficoltà economiche e sanitarie in cui versano ampie fasce della popolazione, siano dei campanelli d’allarme per la limitazione del contagio e la presa in carico di una potenziale diffusione del virus, si tende dall’estero a sottovalutare moltissimo le capacità di queste realtà alla gestione di crisi e problematiche anche di lunga durata.

In un paese come la Costa d’Avorio, in cui le persone sono abituate a non aspettarsi alcun sostegno da parte delle autorità, le iniziative individuali e collettive sono all’ordine del giorno, per riparare le strade, per avere accesso all’acqua, per spostarsi a basso costo, per ricevere cure adeguate, per soddisfare tutte quelle esigenze, spesso basilari, che non sono tutt’ora garantite alla maggior parte della popolazione. 

sapE, in questo momento, ancor prima che venisse annunciata la pioggia di miliardi da parte del governo, sono stati numerosissime le iniziative civiche e i doni economici e in materie prime e/o igieniche, non solo di grandi personalità, ma di tanti gruppi cittadini, associazioni e persone che, già nella normalità, si mostrano solidali con familiari, collaboratori, amici o comunità svantaggiate e rurali.

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L’idea della “colletta” è un’abitudine a cui tutti, in base alle rispettive disponibilità, partecipano in caso si verifichino situazioni impreviste o problematiche di un membro del gruppo o di una collettività, come nascite, matrimoni, lutti, malattie, difficoltà economiche e personali. È un concetto diverso dalla beneficenza, poiché non è un sistema monodirezionale, e si tratta più che altro di uno dei doveri morali e sociali su cui si basa la vita comunitaria tipicamente africana e a cui, a turno, partecipano tutti. Non si tratta quindi neanche del “parassitismo alimentare”, ossia quel meccanismo, altrettanto monodirezionale, attraverso il quale molti occidentali o africani in occidente ricevono dall’Africa continue richieste di soldi e regali da parte di familiari e conoscenti.

No, è qualcosa di diverso e profondamente radicato nelle abitudini di tutti, questo è il nostro sistema di welfare fai da te, sicuramente insufficiente, ma importante al fine di garantire a molte famiglie e persone in difficoltà di far fronte alle loro necessità, sempre, tutto l’anno, ogni mese, a prescindere dalla situazione attuale.

Un esempio su tanti è quello del nostro gruppo “Les Leaders de Grand-Lahou”, composto da giovani provenienti dal nostro villaggio, Grand-Lahou appunto, che hanno deciso di mettersi insieme per sostenersi vicendevolmente in caso di bisogno di uno qualsiasi dei membri e intervenire in maniera diretta e concreta nel sostegno e nello sviluppo sociale, culturale ed economico della nostra comunità. E di esempi come questo ce ne sono a bizzeffe, tra gruppi di amici, colleghi di lavoro, vicini di quartiere…

Le persone sono abituate ad arrangiarsi, a modificare le proprie abitudini rispetto alle necessità contingenti, a non avere grandi pretese, a fare affidamento sugli altri e, quando possibile, a rendere la moneta a loro volta. Come diceva qualche giorno fa un personaggio molto seguito qui, quando le persone hanno l’abitudine di vivere con scarsi mezzi, in un contesto costantemente difficile e precario, e ad ingegnarsi per tirare avanti, ci sono veramente poche situazioni che possono gettarti nello sconforto! E questa è una verità innegabile.

FB_IMG_1586609194130[1]Ha aggiunto poi che, gli africani hanno l’abitudine di passare più tempo a trovare soluzioni concrete ai problemi che incontrano quotidianamente piuttosto che dedicarsi a inutili discussioni sui massimi sistemi o dilungarsi in lamentele fini a se stesse. Ora, tralasciando la generalizzazione che emerge da questa affermazione, non si può negare che su un punto abbia ragione: chi vive in Africa, deve essere o imparare ad essere una persona assolutamente pragmatica, a prescindere dai soldi, dal ruolo o dal contesto in cui vive perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo e bisogna saperlo risolvere senza troppi piagnistei. Quindi, la capacità di essere pratici e puntare all’essenziale, è un indiscutibile valore aggiunto in una situazione di estrema incertezza come questa, in cui i tempi per adeguarsi al rapido evolvere della situazione non consentono una programmazione a priori, ma impongono una prontezza di spirito e di reazione senza troppi fronzoli.

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Ad esempio, in molte case e luoghi pubblici frequentati dalla popolazione locale, come ristoranti o maquis, l’acqua corrente non c’è (quasi) mai e si utilizzano sistemi più o meno originali  e ingegnosi per lavarsi le mani (rigorosamente con OMO, ossia il sapone per lavare i piatti 😉 ), farsi la doccia o tirare lo sciacquone, quindi l’assenza di gel idroalcolici o saponi appositamente ideati per le mani, come anche un lavandino in ceramica con acqua corrente, possono essere un problema certo, ma fino a un certo punto, perché risolvibile con un po’ di inventiva e collaborazione. Ecco, anche l’assalto alla carta igienica, nevrosi riscontrata in tutto il mondo, tranne che qui, può forse, meglio di qualunque altro esempio rendere l’idea!

Inoltre, questo allarmismo catastrofico con cui si guarda all’Africa, provoca un sentimento di frustrazione nelle popolazioni che si esprime attraverso la crescente diffidenza verso qualsiasi iniziativa o proposta ufficiale proveniente, in particolare, dall’Europa, rendendo ancor più difficile la sensibilizzazione e la condivisione di buone pratiche, oltre a facilitare il diffondersi di idee complottiste e genocidiarie figlie di un panafricanismo da social network alquanto confuso e strampalato, ma che guadagna sempre più terreno nella campagna di disinformazione di massa riguardo alla malattia e alle sue possibili cure.

Se gli elementi essenziali per qualsiasi buona relazione sono il rispetto e la comunicazione, direi che, data la situazione, ci sia ancora moltissimo lavoro da fare su entrambi gli aspetti, soprattutto perché non ci si rende conto di quanto siano cambiate le mentalità in questa parte di mondo e quale sia il reale livello di consapevolezza delle sue popolazioni, in continua evoluzione soprattutto nelle nuove generazioni di africani.

Non accettiamo più di essere trattati come dei bambini indisciplinati che hanno bisogno di essere raddrizzati e accompagnati, non restiamo più in attesa che qualcuno venga a toglierci le castagne dal fuoco, lavoriamo ogni giorno per superare quel senso di inferiorità che ci ha bloccati per secoli in un ruolo di deleteria sudditanza e siamo ormai svegli, combattivi, impegnati, come dimostrano anche i tanti messaggi di sensibilizzazione realizzati da noi e per noi, a modo nostro, senza vergogna, anche nelle nostre lingue locali, che sono state per molto tempo percepite come simbolo della nostra arretratezza e che invece diventano oggi un messaggio forte di unità e resilienza.

Quello che voglio dire è che le abitudini e il modo di vivere quotidiano in contesti tendenzialmente agiati, non in termini strettamente economici, ma di disponibilità o reperibilità di mezzi e risorse essenziali, di forme più o meno ampie di assistenza o accompagnamento, anche sanitarie e psicologiche, di diritti e tutele, di libertà di movimento, di possibilità di scelte e di opportunità di rivendicazione, portano a credere che questa sia la condizione utilizzabile come base di partenza per un confronto con l’Africa sulla crisi mondiale in corso.

Nel senso che, se i paesi occidentali sono allo stremo fisico, psicologico, emotivo, sanitario, sociale, politico ed economico, inevitabilmente, i paesi africani, partendo da una situazione generale più complicata, saranno necessariamente destinati al collasso. Questa è una narrazione deleteria non tanto per gli africani, che sono forse più consapevoli delle reali dinamiche mondiali in cui si collocano, ma di tutti coloro che, ponendosi su un piedistallo, non riescono ad andare oltre al loro eurocentrismo.

Non escludo che anche qui possano in futuro verificarsi situazioni sociali e sanitarie complesse e disordini generalizzati, soprattutto a conclusione della crisi, ma forse, questa potrebbe essere un’occasione d’oro per rimettere in discussione la nostra percezione della realtà, soprattutto rispetto agli altri, e perché no, magari riuscire ad imparare qualcosa da loro, da quegli altri che guardiamo sempre con sospetto e presunzione, ma che, oggi, più del solito, possono dimostrare che non esiste un modo giusto o sbagliato di affrontare la vita e le difficoltà, piuttosto, esistono modi diversi, altrettanto validi, di fare i conti con le proprie realtà.

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