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Quando iniziai l’esperienza di questo blog ero (o mi sentivo) sola a gridare al mondo quello che avevo nella testa e nella pancia, poiché non c’erano siti, né gruppi e nemmeno pagine in cui si potesse dar vita a un confronto o esprimere quello che era il nostro vissuto di italiani neri o misti, senza filtri, senza intromissioni. Qualcosa che fosse fatto da noi e per noi. Mi ritrovai, quindi, ad adeguare al mio caso una delle perle della grande Toni Morrison (R.I.P.): Se c’è un libro che vuoi leggere, ma non è ancora stato scritto, allora devi scriverlo”!

Seguendo questo consiglio, decisi allora di lanciarmi in quest’avventura per confermare a me stessa che ero ormai pronta a tirare fuori quello che avevo dentro e che fremeva per affiorare in superficie. Inoltre, speravo potesse infondere una piccola speranza ed essere fonte d’ispirazione per tutte coloro che, come me, erano alla ricerca di letture oneste e sincere sul lungo e duro percorso che ognuna di noi aveva intrapreso alla ricerca di se stessa, in un paese che ci voleva, e ci vuole, silenziose, conformi, riconoscenti.

Fu così che nacquero amicizie, confronti e riflessioni. All’inizio eravamo in tre a comprenderci e ispirarci a vicenda sulla rete, poi siamo diventate cinque, dieci, venti e anche più. Con il passare del tempo, le voci si sono moltiplicate e l’esigenza di far emergere esperienze e testimonianze alla luce del sole si è manifestata attraverso il susseguirsi di nuovi progetti e iniziative a ogni angolo della penisola. Oggi siamo in tante ad aver preso la parola, in maniera esplicita o simbolica, ognuna a modo suo, scrivendo, cantando, filmando, recitando, disegnando, insegnando, producendo abiti, valorizzando la cura dei nostri capelli, raccontandosi e raccontandoci insomma.

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Siamo riuscite, tutte insieme, poco alla volta, ad abbattere dei tabù, ad andare oltre le nostre fragilità, a riscoprirci donne impavide e consapevoli, grazie al lavoro fatto su noi stesse in termini di autostima e consapevolezza e, ve lo assicuro, non è per nulla un compito facile.

Ancora oggi, sfugge a molti la complessità di questo percorso, in cui devi innanzitutto vincere una battaglia interiore con il tuo io. Inizialmente, essa sembra un gigante macigno al centro della tua strada e, prima di intraprenderla, resti paralizzata a osservare l’ostacolo, per mesi o addirittura anni, nel tentativo di capire quali siano gli strumenti migliori che hai per riuscire a scansarlo, andare oltre e avanzare.

Ti barcameni tra un’infinità di domande alle quali altri, per te, hanno sempre dato risposte semplificate, se non addirittura messo in dubbio la necessità stessa di porle. Riconsideri le certezze che ti hanno avvolto in un calore rassicurante e, quando avresti bisogno che qualcuno ponga delicatamente una coperta calda sulle tue spalle per limitare lo sbalzo termico in questo tuo salto verso un’infinità di dubbi, ti ritrovi sola e infreddolita, quasi spoglia, a ridefinire una tua identità, perché nessuno intorno a te sembra aver voglia di riconsiderare la maniera in cui vuole che tu sia.

E mentre inizi a intravedere una sagoma di quella che potresti e vorresti essere, il mondo che ti è attorno t’invia continui segnali per convincerti che stai andando nella direzione sbagliata e che quel qualcosa che pare definirsi pian piano all’orizzonte non è un’immagine migliore di te, ma una proiezione sbagliata rispetto a quello che dovresti essere, secondo gli altri.

Per evitare di destabilizzare tutte le idee preconcette e categoriche che si sono costruite attorno e su di te, ti s’invita con insistenza a fare passi indietro, nella speranza di un ritorno al punto iniziale, quando eri molto più facile da comprendere e modellare. Tu invece continui ostinatamente, talvolta arrancando, a fare un passo dopo l’altro, respirando a pieni polmoni quando raggiungi una vetta o annaspando, come se ti mancasse l’aria, quando trovi un altro bivio in cui fare scelte importanti.

Nel frattempo passano gli anni, tu cresci e aggiungi un tassello a ogni esperienza che vivi, a ogni delusione che provi, a ogni sfida che superi, fino a quando ti rendi conto che è giunto il momento di essere protagonista, non perché tu abbia un ego invadente da soddisfare, ma perché hai finalmente capito chi sei e quali parole usare e pensieri formulare per descriverti e definirti. A quel punto, non sei più disposta ad accettare che qualcun’altro ti dica come tu debba sentirti, come e su cosa tu debba esprimerti, quanto peso ci sia nelle tue sofferenze e quale sia il metodo migliore o la strategia vincente per affrontare le tue paure e le tue difficoltà quotidiane.

Ora, alla soglia dei quaranta, è bello e confortante vedere come, anche quelle che un tempo erano le nostre “sorelline”, siano divenute giovani donne nere o miste caparbiamente impegnate a far sentire la propria voce. Siamo tante ormai e non è più possibile far finta che non sentiate quello che abbiamo da dire. Non siamo aggressive, non siamo rabbiose, non siamo esagerate, siamo solamente stanche di essere messe da parte. Siamo stanche di essere trattate come delle bambine che hanno bisogno di una guida che le accompagni al parco giochi, dove altri si dilettano a dondolare sull’altalena dei luoghi comuni, sfrecciare sullo scivolo della minimizzazione, girare sulla giostra della permalosità antirazzista, mentre noi dovremmo restare in silenzio a osservare, al massimo giocare in disparte con paletta e secchiello, perché, altrimenti, ogni intromissione rischierebbe di sovvertire il momento di ludico appagamento di chi, nascondendosi dietro la nostra ombra riflessa sulla sabbia, si diverte a interpretare il ruolo del protagonista.

Volete veramente sostenerci nelle nostre rivendicazioni ed essere validi alleati in questa lotta contro razzismo e discriminazioni? Ebbene, fate un gran bel respiro, calmatevi e digerite quel che avete letto sinora, astenetevi per un attimo dallo scrivere o dall’intervenire, uscite fuori dal vostro ruolo di attivisti bianchi, genitori, compagni o amici di persone afrodiscendenti, mettete da parte la buona fede che c’è nelle vostre azioni (e che nessuno mette in dubbio), non considerate per un attimo l’impegno che avete fino ad oggi dimostrato.

Fate tabula rasa di tutto quello che potrebbe portarvi a personificare e a ricondurre a voi stessi questa battaglia e ascoltate, prestando cuore, mente e orecchie a questo fiume in piena di sensibilità e consapevolezza che riecheggia attorno a voi. Siamo tante e non abbiamo più voglia di gridare sopra le vostre voci, ASCOLTATECI, perché, come scriveva il grande Ahmadou Kourouma, il ginocchio non porta mai il cappello quando la testa è sul collo!