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700, aprire le frontiere, Lampedusa, liberazione, Migranti, morti in mare, naufragio, resistenza, rifugiati
Leggendo di quest’ultima tragedia in mare, il mio cuore si è stretto ed è diventato piccolo come la possibilità di giungere indenni, via mare, in Europa.
Molti di coloro che naufragano al largo delle nostre coste sono rifugiati, ma tra di loro ci anche sono tante altre persone che sognano di partire, magari per qualche anno, giusto il tempo di accumulare una bella somma di denaro che, al rientro, consentirà loro di realizzare progetti in grado di cambiare un destino fatto di povertà e miseria quotidiana. Purtroppo la realtà è molto diversa dalle aspettative e molto spesso noi dimentichiamo che anche loro hanno lo stesso diritto di chi scappa da una guerra di poter viaggiare e cercare altrove una vita migliore.
Si parla molto delle scelte politiche che sono alla base di questo genocidio, delle responsabilità istituzionali dei paesi di accoglienza, delle negligenze della comunità internazionale, quindi preferisco lasciare la penna a chi è molto più preparato di me su questi temi. Personalmente, vorrei soffermarmi sulle colpe che noi, come singoli cittadini, abbiamo rispetto al destino di queste vite infrante sulle onde: europei e africani insieme, ognuno a proprio modo.
Individuo due parole chiave: menzogne e verità.
Partiamo dalle menzogne diffuse…
Mentre noi europei ci impegniamo con tutte le nostre forze a dipingere un’Africa arretrata, malata e sofferente, desideriamo mantenere un’immagine invincibile e insormontabile del nostro Continente, mostrando solo ciò che di buono siamo riusciti apparentemente a fare. Confort e benessere sono i messaggi che arrivano dall’Europa, un luogo dove i soldi si guadagnano facilmente perché se giriamo tutti con il SUV, gli abiti firmati e un cellulare ultimo modello, che sono stati costruiti tra l’altro con le materie prime che rubiamo da secoli agli africani, vuol dire che possiamo permettercelo e pure ostentarlo durante le nostre vacanze costose alla scoperta della “vera” vita in Africa nei resort a cinque stelle, dove con dieci matite e venti caramelle pensiamo di fare il nostro bene a quei poveri bambini affamati e analfabeti!
Forse siamo proprio noi europei le prime vittime di questa ipocrisia e non ce ne rendiamo nemmeno troppo conto. Vagli a spiegare che c’è la crisi, che manca il lavoro e che non è tutto oro quel che luccica, in fondo, anche le peggiori condizioni di un nostro disoccupato o di un precario sarebbero per molti un grandissimo salto di qualità.
Dal canto nostro, noi africani torniamo nella terra madre solo se abbiamo realizzato qualcosa che valga la pena mostrare con orgoglio, quasi ostentazione: un bel lavoro grazie al quale abbiamo comprato il SUV, gli abiti firmati e un cellulare ultimo modello. Giusto per dire: “L’Eldorado esiste, io l’ho trovato e pure lui è a cinque stelle!”. Rinneghiamo le nostre radici, dimentichiamo il nostro passato, godiamo a far parte di quella elite che affama i nostri fratelli, ma noi almeno abbiamo raggiunto il successo.
Se invece il nostro viaggio ci ha condotti in un labirinto di privazioni e sofferenze quasi peggiore di quello da dove siamo venuti, ci guardiamo bene dal raccontarlo. Nel migliore dei casi mentiamo a chi ci ascolta dall’altro capo della cornetta, nel peggiore, tronchiamo ogni contatto con il paese di origine. Vagli a spiegare che non hai neanche un euro da inviare alla famiglia o per comprare un biglietto di ritorno, tu stai in Europa quindi sicuramente te la cavi meglio di loro.
Continuiamo con la mia piccola verità…
Arrivando qui in Africa mi sono fatta una promessa: essere onesta, senza mezzi termini, nel tentativo di dare, a chi vorrà ascoltare, una visione realistica di ciò che potrebbe accadere se e quando qualcuno dovesse decidere di partire per raggiungere “l’altra parte”, come qui chiamano l’Europa.
Le chiacchiere cominciano sempre parlando della vita in Occidente, perché qui la curiosità è veramente tanta, ma poi il discorso prende strade che inevitabilmente conducono al mare poiché il viaggio tenta un po’ tutti quanti.
Inizio a descrivere la vita di un italiano medio e, nonostante potrebbe sembrare che non manchi nulla per essere felici, mi fanno notare in molti che pare un’esistenza in cui la vera cosa che manca è la libertà. Poi mi metto nei panni di un migrante e racconto la verità su ciò che accade ogni giorno nel nostro mare e nelle nostre città. Le parole che escono dalla mia bocca materializzano una realtà spaventosa che attraverso il distacco della narrazione appare ai miei occhi ancora più realisticamente agghiacciante.
Soffro nel descrivere le immagini notturne di Stazione Termini, dove sagome infreddolite formano un’unica fila di senza tetto traditi dal miraggio di un welfare e di un’integrazione inesistenti. Provo rabbia quando parlo delle condizioni dei migranti nelle campagne romane, drogati e sfruttati per pochi spiccioli e costretti a vivere ammassati in case abbandonate o rifugi di fortuna momentanei. Mi vergogno a raccontare le ingiustizie e le peripezie dei rifugiati che richiedono asilo, dei lavoratori che attendo un permesso di soggiorno e dei nati in Italia da genitori stranieri che sperano un giorno di avere la cittadinanza.
Mi trema la voce a raccontare delle numerose vite inabissate nel nostro Mare, perché potrebbero essere gli amici e i fratelli che mi sono di fronte e, infatti, succede spesso da queste parti che arrivi la notizia di qualche giovane inghiottito per sempre dalle acque.
Sono già tanti quelli che, dopo aver sentito le mie parole hanno decisamente rivisto le loro posizioni sul miraggio europeo. Un anziano ha persino attribuito un valore mistico a questa piccola e personale opera di sensibilizzazione “perché i nostri ragazzi vivono con il sogno di un paradiso su terra che esiste solamente nelle menzogne che ci raccontano tutti. La tua onestà infrange delle illusioni, salva le loro vite e la nostra Africa. Che Dio ti benedica”.
Vi giuro che mi è scesa una lacrima, come ogni volta che leggo di un naufragio. Tuttavia, anche se vestire i panni di un messaggero divino va molto aldilà di ogni mia ambizione, penso che queste parole abbiano colto nel segno: l’onestà può salvare delle vite. E io ingenuamente ci credo!
Dans le passé, c’était l’homme blanc
qui nous envoyait de force à Babylon
Aujourd’hui, qu’ils n’ont plus besoin de nous
C’est nous qui voulons aller là-bas
Plutôt la mort dans la mer
que la honte devant ma mère
Ma decision est prise, je m’en vais
No, je reste, oui, je reste
Parce qu’on ne peut pas tous partir
Sinon qui va construire notre Africa
Le soleil va se lever
Il faut que ça change
Il faut que nous changeons les choses
“Lampedusa” – Ismaël Isaac feat. Mokobe (https://www.youtube.com/watch?v=8qv-WhOMDJ0)
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Ma che sia responsabilità degli stessi africani (tanto più nella complessità di un meticciato) accedere a questa convinzione e guadagnarsi questa autonomia. Che siano finalmente gli Africani ad insegnare qualcosa agli Europei (…..ed oggi ai Cinesi), troppo facile catalogarli da infedeli. “Aiutati che Dio t’aiuta” ……chissà se il detto esiste in un qualsiasi dialetto africano…. non so quanti altri hanno seguito l’esempio di Muhammad Aly (Kassius Clay) ed hanno rivendicato l’orgoglio della propria origine, facendo anche grandi rinunce per rimanere in Africa, questo dovrebbe essere l’assunto, anche a costo della vita!! Altro che lavare i parabrezza delle auto e fomentare odio o indifferernza, accettando la condizione di una nuova schiavitù! Esistono i carnefici, perchè esistono le vittime! Stupido è chi lo stupido fa (Forrest Gump).
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assolutamente giusto, bisognerebbe aiutarli nei loro paesi senza pensare solamente a sfruttali.
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Meglio ancora sarebbe liberare finalmente l’Africa dalla nostra invadenza culturale ed economica, sono certa che se la passerebbero tutti molto meglio e non avrebbero neanche bisogno del nostro aiuto!
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