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antirazzismo, discriminazione razziale, Peggy McIntosh, privilegio bianco, teorie antirazziste, Unpacking the Invisible Backpack, white privilege
In un precedente post avevo accennato al concetto di privilegio bianco che vorrei qui affrontare in maniera più dettagliata. Ho pensato fosse interessante proporvi una breve analisi del saggio della dott.ssa Peggy McIntosh (direttrice aggiunta del Wellesley Centers for Women e fondatrice del National SEED Project on Inclusive Curriculum), intitolato “White Privilege: Unpacking the Invisible Backpack” e pubblicato nel 1989 dalla Women’s International League for Peace and Freedom.
Il testo è una sintesi di “White Privilege and Male Privilege: A Personal Account of Coming to See Correspondences through Work in Women’s Studies” (1988), saggio che ha fortemente animato il dibattito sulle discriminazioni di genere e di razza proponendo una nuova prospettiva di analisi ed influenzando significativamente le teorie antirazziste e femministe negli Stati Uniti.
Ritengo importante farvi notare la data di pubblicazione del testo oggetto di analisi (1989), poiché mi sembra riesca a mettere bene in risalto l’assoluto disinteresse e l’indiscutibile conservatorismo teorico di buona parte degli studiosi e degli intellettuali italiani che, negli ultimi ventiquattro anni, hanno probabilmente finto di interessarsi al razzismo e alle discriminazioni, dato che non esistono tracce significative di ricerche e testi che affrontino la questione del privilegio bianco in Italia.
L’obiettivo su cui si concentra l’analisi della dott.ssa McIntosh è costituito dal tentativo di individuare una corrispondenza tra il privilegio maschile e il privilegio bianco attraverso il lavoro da lei intrapreso nell’ambito degli studi sulle donne.
Nel corso delle sue ricerche, la McIntosh ha notato una profonda riluttanza da parte degli uomini ad ammettere la loro condizione di vantaggio, riscontrando come conseguenza un atteggiamento protettivo nei confronti del privilegio maschile che esclude qualsiasi possibilità di riconoscerlo, limitarlo e, progressivamente, eliminarlo.
Partendo da questo presupposto, la McIntosh ha ipotizzato l’esistenza di un privilegio bianco ugualmente negato e protetto da parte di chi lo possiede, il quale condizionerebbe inconsapevolmente i rapporti di forza tra persone di razze diverse.
Nel suo saggio, la McIntosh definisce il privilegio bianco come “un pacco invisibile di risorse immeritate” che, evidentemente, nessun bianco è consapevole di avere ricevuto in regalo. Ci hanno educato a considerare il razzismo come qualcosa che pone gli altri in svantaggio, senza insegnarci a prendere in considerazione il fatto che, di conseguenza, qualcun altro possa inversamente beneficiare dei vantaggi che ne derivano.
Come per il privilegio maschile, anche in questo caso, la negazione è un elemento fondamentale che cela un intento conservativo motivato da due principali ragioni: da un lato, mantenere inalterata la percezione positiva che i bianchi hanno di loro stessi e dei loro principi morali; dall’altro, conservare l’ordine gerarchico su cui si fonda la società, nella quale essi mantengono una posizione predominante rispetto ad altri gruppi.
Nel tentativo di “disfare questo zaino invisibile”, la McIntosh si è resa conto che l’educazione ricevuta, in quanto bianca, le aveva insegnato a considerare la propria cultura e la propria morale come normali e condivise, identificando tutto il resto come qualcosa di anomalo o inconsueto. Inoltre, tale impostazione, l’aveva portata a non saper riconoscere gli ingiusti privilegi derivanti dal colore della sua pelle, pur traendone inconsapevolmente vantaggio in qualsiasi ambito della vita.
Ha iniziato quindi a riconsiderare una serie di aspetti della sua quotidianità ed ha stilato una lista di condizioni a lei favorevoli che, non tenendo conto della classe sociale, della religione, delle origini etniche o della posizione geografica, potevano avvalorare la sua tesi.
Vi illustrerò i 26 punti della lista in un prossimo post, in modo da poterli discutere in maniera più dettagliata, per il momento mi limito a sottolineare la rilevanza di questo rivoluzionario costrutto teorico che, nel corso dell’ultimo ventennio, ha ispirato numerosi movimenti antirazzisti, spingendo soprattutto moltissimi bianchi a rivedere il loro ruolo all’interno delle dinamiche sociali.
Non bisogna tuttavia sottovalutare che il forte impatto di questa teoria derivi soprattutto dall’essere ipotizzata e sostenuta da una donna bianca. La McIntosh ha avuto il merito di saper sfruttare consapevolmente il suo privilegio bianco per rompere questo tabù; ha avuto il coraggio di rimettere in discussione la sua “bianchezza” e i suoi privilegi indebiti, spingendo la sua comunità a fare altrettanto.
In tale ottica, il privilegio bianco non costituisce uno strumento nelle mani dei neri per combattere le ingiustizie di cui sono vittime ma, al contrario, rappresenta un’opportunità nelle coscienze dei bianchi per poter dare il loro contributo alla lotta contro il razzismo. Consapevoli del loro privilegio, essi possono utilizzarlo per ricreare una condizione di equità, sfruttando i propri vantaggi in termini di considerazione, immagine e posizione in favore degli altri gruppi razziali.
È quindi evidente che questo studio non si prefigge l’obiettivo di creare ulteriori conflitti sociali o ideologici ma, al contrario, intende affrontare la questione della diversità con uno sguardo attento agli elementi impliciti e inconsapevoli che sono spesso alla base di discriminazioni ed intolleranze.
In molti casi, non sono i privilegi stessi ad essere dannosi o contestabili ma la loro iniqua distribuzione all’interno dei gruppi razziali. Pertanto, una società giusta ed onesta dovrebbe offrire a tutti i suoi componenti pari opportunità, garantendo ad ognuno le condizioni per partecipare alla vita comune potendo contare sulle medesime risorse.
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forse divagherò un pò.. ma quello che mi turba profondamente è la pigrizia nella gente italiana, sposato con africani o persone straniere, che non affatto voglia di approfondire queste tematiche e non si pongono la domanda : perchè io non sono Amica di una donna africana/ straniera pur avendo un compagno africano / straniero ? perchè non riusciamo a confrontarci liberamente anche per abbattere certi tabù ? e soprattutto non riesco a capire perchè non si riesca a formare un movimento di neri in Italia, un ‘associazione riconosciuta dallo Stato. Da me, si è tentato ma poi si sono intromesse altre cariche politiche istituzionali. la pigrizia, il non volere comprendere l’altro porta ad ignoranza che sfocia nel razzismo..io mi sono avvicinata ai bianchi e sono ben consapevole dei loro privilegi anche se imbarazzati, non ne vogliono parlare.
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Ciao afrodixit, quello che dici è vero, infatti in Italia spesso si sentono persone che esprimono concetti evidentemente razzisti, ma per giustificarsi poi ti dicono che non lo sono perché hanno magari un amico, una moglie o un collega simpatico che è nero. Un mix di ignoranza e ipocrisia, ma ho sempre fiducia che le cose cambino! In merito alle associazioni/gruppi di neri/africani ce ne sono, ma molte preferiscono restare lontane dalla politica per evitare proprio che questo influisca sulle libere scelte e attività del movimento. Grazie per il following e a presto!
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Alla London School of Econonomics c’era un cartellone grandissimo con scritto: ” Il privilegio dei bianchi”. In Italia ancora non lo si capisce perche’ sono studi che stanno emergendo da poco tempo. L’Italia e’ sempre stata bianca pertanto solo ora che iniziano ad esserci piu’ conflitti tra diverse culture allora alcuni iniziano ad usare il concetto della parola ‘razziale’. In America sono le stesse persone di colore che parlano di razza e loro dicono appunto che la razza nera esiste. Se non esistessero le razze non ci sarebbe razzismo. Brava. Bellissima traduzione e riassunto di un importante testo. Ti consiglio, ma forse gia’ li conoscerai, Theo Goldberg, Filomena Essed che parlano del concetto di razza. Il primo professore e’ un prof sud africano ebreo e la seconda e’ una professoressa olandese di colore. Si parla del privilegio bianco ovviamente. Per capirlo occorre decolonizzare la nostra mente. Siamo stati formati da un conoscenza prevalentemente colonizzatrice e bianca. Ci sono grossi scontri a riguardo in Italia su questo in quanto questi concetti da noi stanno arrivando da poco.
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Ciao e scusa per il ritardo nel risponderti. Non amo molto il concetto della razza, ma questo aprirebbe un altro lungo dibattito 😉 Però in merito al privilegio bianco e a concetti simili, il problema in Italia, oltre al fatto che sono argomenti tabù, è anche che quasi tutta la letteratura è in lingua inglese e, come sai bene, qui servirebbe un corso intensivo nazionale 🙂 Anche per questo avevo pensato fosse opportuno fornire una piccola infarinatura in italiano. Grazie per il contributo e spero a rileggerci presto!
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Non esiste nessun privilegio bianco o ebraico : questa è una credenza disfunzionale , un’idea paranoide che danneggia la stessa causa che si sta lottando . In questo articolo si denota un forte disagio personale e il bisogno di cercare di sconfiggerlo proettandolo su qualcosa , su un capro espiatorio .
Il bisogno di dare delle colpe , di vedere sempre il male all’esterno e di non mettersi mai in discussione così rinunciando alle proprie responsabilità è sintomo di un certo disagio sociale e culturale .
Ma bisogna capire che per eliminare il disagio interiore e sociale prima di tutti dobbiamo cambiare noi stessi . Insistere nel dare colpe , nelle vittimizzazioni evitando così il ” rischio ” di mettersi in gioco non fa altro che creare un circolo vizioso da cui è difficile uscire .
Il razzismo è uno di questi circoli viziosi e l’idea del capro espiatorio e dell’invidia verso ciò che si considera inconsciamente ” migliore ” di sè è un’idea che ha creato molti danni nella storia ( i vari fascismi o le dittature comuniste o la dittatura di Mugabe ) .
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Non bisogna odiare ciò che si ritiene ” migliore ” di noi , ma impegnarci nel migliorare il nostro livello di vita , e questo vale in tutti i campi .
Ps : alla base di questo articolo ci sta una convinzione a mio parere sbagliata e disfunzionale ovvero la categorizzazione degli individui entro barriere ” razziali ” e culturali : neri opposti a bianchi e così via . Non esiste una ” razza bianca ” o una ” razza nera ” : le razze umane non esistono , esiste solo l’umanità e gli individui , che sono tutti uguali e diversi tra di loro .
Poi per quanto riguarda il femminismo , il considerare le donne ” bianche ” privilegiate è inconsciamente il sintomo di una maschilismo interiorizzato : quello che si odia è l’emancipazione femminile ed invece di tentare di espandere tale emancipazione nel resto del mondo basandosi sulle lotte delle tanto odiate donne occidentali si riccorre alla ” razza ” e ciò costituisce inconsciamente una giustificazione del proprio status quo e in questo caso dello stesso maschilismo .
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Caro Andr,
in realtà il mio articolo costituisce una sintesi del lavoro svolto dalla dott.ssa MacIntosh, un’attivista statunitense BIANCA, e per questo, nonostante condivida le sue teorie, non credo possa essere considerato come la manifestazione di un disagio personale.
Ho voluto specificare che l’obiettivo del suo lavoro, e quindi del mio post, non è quello di alimentare odio o risentimento da parte dei neri nei confronti dei bianchi, ma di aprire una riflessione su alcuni aspetti che contribuiscono a creare disparità sociali all’interno delle nostre comunità.
Inoltre, nell’altro articolo sul medesimo argomento ho espressamente dichiarato che l’utilizzo del termine “razza” è motivato solo dal fatto di voler mantenere fedelmente il linguaggio utilizzato dalla MacIntosh nel testo originale di riferimento. Tuttavia, sebbene esista una sola razza umana, è innegabile che sussistano tutt’oggi delle discriminazioni basate esclusivamente sul colore della pelle e, purtroppo, credo che molti bianchi non siano ancora in grado di percepire le reali difficoltà quotidiane con le quali tutti i neri devono confrontarsi ogni giorno.
Posso assicurarle che la scelta di creare questo blog deriva da lunghe riflessioni personali e che, la messa in discussione è un lavoro costante che opero su me stessa, come credo ogni persona debba fare e, anzi, il fatto di affrontare il problema del razzismo in una diversa prospettiva, ossia leggendo, informandosi, confrontandosi su posizioni diverse e, a volte insolite, penso ne sia la dimostrazione.
Non considero i bianchi migliori e amo la mia nerezza, ritengo tuttavia che sia necessaria una maggiore consapevolezza da parte di ognuno e, se avrà voglia di capire meglio il mio approccio, leggendo anche altri articoli, si renderà conto che le mie posizioni mettono spesso in discussione anche alcuni atteggiamenti e vittimismi dei neri.
I miei articoli andrebbero letti senza essere sulla difensiva, il mio scopo non è quello di lanciare attacchi contro la bianchezza, ma invitare i lettori a mettersi nei nostri panni, provare per qualche minuto ad abbandonare il proprio vissuto per immedesimarsi in quello degli altri, immaginare che, forse, le esperienze e le percezioni altrui possano essere diverse da quello che crediamo. Sono convinta che solo con maggiore empatia sarà possibile imparare a capire meglio gli altri.
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Mai letto tante sciocchezze in così breve spazio.
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Come è vero che la società è maschilista, è ugualmente vero che le maggioranze si sono imposte sui più “deboli”, anche culturalmente. La storia e l’onestà intellettuale ce lo insegnano. Forse è perché in molti ancora negano tali evidenze che nel mondo non c’è equità!
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Non la società ma la specie homo è maschilista, e se è tale e siamo ancora qui significa che funziona. Ed ancora, le maggioranze? No, i migliori! e meno male, senno saremmo ancora sugli alberi.
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La ringrazio per le sue parole, perché mi consentono di confutare le tesi sopra esposte con elementare sinteticità.
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Assolutamente d’accordo, da bianca. La messa in discussione, specie se in termini culturali, e quindi identitari, etnici e razziali, comporta un shock culturale che fa improvvisamente vacillare il proprio etnocentrismo. In Italia, è evidente che non siamo ancora pronti alla rivoluzione copernicana. Complimenti Pagmetisse! Questo post è un’ottima riflessione che finalmente analizza il problema da un altro punto di vista. Forse i nostri nipoti godranno di equi privilegi. Voglio sperarci!
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